L’Amazzonia chiama, il mondo risponde: fermiamo il trattato UE-Mercosur

Indigeni, Sem Terra, Greta con i FFF e i movimenti italiani incassano il supporto di sindacati e Parlamento Ue, rilanciando la mobilitazione contro l’accordo commerciale che minaccia l’Amazzonia e l’agricoltura europea

Domani e il 26-27 febbraio i movimenti indigeni, il Movimento Sem terra, i Fridays for future e tutte le campagne per la giustizia economica, climatica e sociale, come, in Italia, la Campagna Stop TTIP Italia lanciano azioni online per ottenere dalla Commissione europea e dai governi dell’area Mercosur – Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay – di rinunciare al trattato di liberalizzazione commerciale EU-Mercosur che mette a rischio l’esistenza stessa della foresta amazzonica e il suo ruolo insostituibile d polmone verde del pianeta.

Joao Pedro Stedile, leader del Movimento Sem Terra Brasiliano ha chiesto, in un accorato appello ai cittadini di Italia, Spagna e tutta Europa di “unire le forze contro una mossa delle grandi corporation europee e multinazionali, che condanneranno i cittadini d’Europa a mangiare porcherie piene di veleni, e noi popoli dell’America del Sud perderemo le nostre risorse naturali e il lavoro”.

I movimenti indigeni e i Fridays for Future lanceranno con un tweetstorm ripetuto domani 19 febbraio e il 26 febbraio ai capi di Governo dei Paesi Ue e alla Commissione la due giorni di mobilitazioni online “El Grito de la Selva: Voces de la Amazonía”. L’iniziativa è organizzata dall’Asamblea Mundial por la Amazonía con la partecipazione di rappresentanti della Coordinadora de Organizaciones Indígenas de la Cuenca Amazónica (COICA), la Red Eclesial Panamazónica (REPAM) e il Foro Social Panamazónico (FOSPA) insieme a attivisti, scienziati e alleati a Sud e a Nord nel Mondo[2].

I giovani di Fridays for Future dell’area amazzonica, ma anche in Italia, lanciano l’attività con un video[3] in cui Greta Thumberg interviene, insieme alla leader indigena Sonja Guyara e a giovani attiviste e attivisti delle due sponde dell’oceano, denunciando che “l’Amazzonia brucia di nuovo, dobbiamo proteggerla, impedire che vada in cenere il nostro futuro: questa è una battaglia che dobbiamo vincere, e dobbiamo vincere insieme”.

L’attenzione rispetto al trattato sta crescendo ora dopo ora, e il supporto all’azione della campagna internazionale s fa sempre più rilevante.

I sindacati europei (ETUC) e del Cono Sud (CCSCS) hanno scritto una dichiarazione comune contro il trattato, in cui annunciano la creazione di un “Forum del lavoro” congiunto con il quale chiedono a Commissione Ue e Governi del Mercosur di “rinegoziare da capo l’Accordo perché allo stato non presenta sufficienti garanzie sul rispetto dei lavoratori e del commercio intra-Mercosur, fondamentale volano di sviluppo dell’area”[4]

Anche i gruppi parlamentari europei Verdi e Gue, compresi gli italiani, hanno scritto al Governo Portoghese, presidente di turno dell’Unione, e alla Commissione chiedendo formalmente di riaprire la trattativa: “Importanti preoccupazioni per l’accordo UE-Mercosur provengono non solo da organizzazioni ambientaliste, popolazioni indigene ed esperti, ma anche da molti capi di Stato e parlamenti. Così com’è, l’accordo porterà a un aumento significativo della deforestazione nella regione del Mercosur. Esiste un ampio consenso scientifico e politico sulla necessità di integrare pienamente gli obiettivi ambientali e sociali al centro dell’accordo e il Parlamento europeo ha dichiarato che l’accordo non può essere ratificato nella sua forma attuale”, constatano nella missiva[5].  

“In un momento in cui la crisi climatica e sociale è più grave che mai, per noi è del tutto inaccettabile che si propongano ricette economiche e commerciali improntate all’abbattimento di regole e controlli su prodotti e metodi di produzione devastanti per gli ecosistemi e le comunità – dichiara Monica Di Sisto, portavoce della Campagna Stop EU-Mercosur, che in Italia coordina associazioni ambientaliste, sindacati, organizzazioni contadine, produttori e comitati locali – L’Italia, che opera nell’area con oltre 500 aziende[6], deve scegliere se stare dalla parte della distruzione o della cooperazione e della costruzione di un futuro migliore per tutti. Come Paese ospite del G20 dobbiamo dimostrare con i fatti di essere coerenti con gli impegni confermati anche dal nuovo governo verso la transizione ecologica, la protezione sociale e evitare che le imprese che lavorano in qualità e nel rispetto degli standard ambientali e sociali in Europa come nel Mercosur vengano ulteriormente danneggiate da una liberalizzazione non accompagnata da adeguate valutazioni e analisi, anche alla luce del nuovo quadro determinato dalla pandemia. Chiediamo la riapertura di un tavolo sul trattato con i dicasteri competenti per un dialogo costruttivo con la società civile che ascolti anche le voci e le richieste di indigeni e associazioni dell’area Amazzonica”.

Per approfondire

La deregolamentazione degli scambi fra i due blocchi ha l’intento di creare la più grande area di libero commercio del mondo, che riguarderà 800 milioni di persone. In un momento in cui la crisi climatica e sociale è più grave che mai, per noi è del tutto inaccettabile che si propongano ricette economiche e commerciali improntate all’abbattimento di regole e controlli su prodotti e metodi di produzione devastanti per gli ecosistemi e le comunità. Il trattato UE-Mercosur promuove un aumento delle importazioni europee di carne bovina, soia e biocarburanti, in cambio di maggiori esportazioni di automobili nei Paesi sudamericani. Uno scambio fra agroindustria e automotive le cui pesanti esternalità ricadranno sulle condizioni della foresta amazzonica, già gravemente colpita da incendi e deforestazione guidata dai grandi allevatori e agricoltori con l’appoggio del governo brasiliano, in prima linea nella cancellazione dei vincoli ambientali.

Ad oggi, infatti, è virtualmente impossibile tracciare le importazioni provenienti dall’area del Mercosur, e in particolare dal Brasile. Il sistema di controlli europeo non pone sanzioni sostanziali sulle importazioni di materie prime collegate alla deforestazione, mentre la scarsa trasparenza delle imprese che operano nella zona rende difficile anche solo individuarle. Le stime dicono che l’80% della distruzione dell’Amazzonia è collegato al settore della carne bovina. L’Unione europea è il primo partner commerciale del in questa filiera, e l’Italia il primo mercato di sbocco: stringendo un accordo che indebolisce ulteriormente ispezioni e controlli, l’UE e i paesi membri rischiano di rendersi complici della definitiva distruzione di un bioma fondamentale per la vita sul pianeta, una foresta in grado di assorbire il 9% del carbonio globale. Non solo: accanto al disastro ambientale e climatico, ci sono le crescenti violazioni dei diritti umani: violenze e minacce nei confronti delle comunità native abitano la foresta stanno aumentando, con persone espulse e famiglie decimate da paramilitari al soldo delle imprese.

Fonte: StopTTIP IT

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